In questa sezione sono disponibili informazioni generali rivolte ai pazienti, ai familiari ed al personale non sanitario che presta loro assistenza e cura (caregivers). I contenuti a disposizione devono essere intesi come strumenti di accrescimento della propria consapevolezza nei confronti di questa malattia. I paragrafi successivi infatti hanno carattere esclusivamente divulgativo con particolare attenzione all’utilizzo di termini facilmente comprensibili. Il testo non costituisce quindi un trattato scientificamente esaustivo o un valido strumento diagnostico. Raccomandiamo di affidarsi a professionisti sanitari qualificati e non ad internet per tali scopi.
La Malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali, i parkinsonismi
Il primo punto che può generare confusione nella persona che si trova ad affrontare la malattia, direttamente o indirettamente, è l’utilizzo dei termini Malattia di Parkinson, sindrome extrapiramidale o parkinsonismo da parte dei professionisti sanitari. La terminologia può cambiare in base alle caratteristiche del paziente o per facilitare la comprensione del problema. Il medico infatti è consapevole che è psicologicamente importante per la persona dare un nome ai propri sintomi. Non bisogna vivere con sconforto questa situazione e sentire diversi “nomi” attribuiti ai propri sintomi o a quelli del proprio caro, non deve generare ulteriori preoccupazioni. La terminologia usata infatti varia ma non cambia l’approccio dello specialista al problema: il paziente è al centro delle cure e viene seguito nell’evoluzione della sua malattia con professionalità.
La Malattia
La Malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa (causata dalla morte precoce di alcune cellule del sistema nervoso). La sua prevalenza nei paesi con una lunga aspettativa di vita (come l’Italia) è stimata a circa l’1% nella popolazione oltre i 60 anni, con una relativa prevalenza maschile. La Malattia di Parkinson idiopatica (la forma più comune di cui non conosciamo la causa) è sporadica (non ha carattere ereditario), non bisogna quindi preoccuparsi per i propri figli o nipoti. I disturbi più frequenti, che saranno descritti nella sezione dedicata, riducono la capacità del paziente di muoversi in modo autonomo. La morte di alcuni gruppi di neuroni che producono dopamina è la principale causa nota dell’evoluzione della malattia. Le terapie che abbiamo a disposizione al momento forniscono dall’esterno la dopamina mancante e sono molto efficaci nel trattamento dei sintomi nelle prime fasi, perdendo di efficacia solo dopo anni di trattamento. La perdita di efficacia ed alcuni effetti indesiderati a lungo termine sono dovuti al processo degenerativo (la morte delle cellule) che continua ad avanzare. Le cellule che muoiono nella Malattia di Parkinson fanno parte di un sistema che è definito extrapiramidale (per questo fa parte delle sindromi extrapiramidali), ma anche altre malattie hanno come causa la morte di questo gruppo di neuroni e sono spesso chiamate parkinsonismi. Alcune di queste malattie (si tratta di forme molto più rare) ad andamento peggiore, non rispondono neppure nelle fasi iniziali alla terapia e si accompagnano ad altri sintomi.
La storia
Nel 1817 il medico britannico James Parkinson, descrisse la malattia come “paralisi agitante”. La descrizione iniziale si basava sull’osservazione di soli sei pazienti, tre dei quali osservati per le strade di Londra. I medici che negli anni hanno studiato la malattia, individuandone diverse varianti, decisero di denominare la forma più comune in suo onore. La Malattia di Parkinson non è quindi l’unica diagnosi che lo specialista prende in considerazione quando alcuni sintomi principali vengono riferiti.
I sintomi
Tremore
Il tremore, particolarmente della mano, è il sintomo più noto della malattia e si presenta con determinate caratteristiche in circa il 70% dei pazienti. Il tremore può altresì non essere presente, oppure essere sintomo di altre malattie benigne (ad esempio il tremore essenziale). Non bisogna allarmarsi quindi e associare direttamente qualsiasi tremore alla Malattia di Parkinson, ma rivolgersi con fiducia a personale medico competente.
Bradicinesia
Un sintomo cardine della malattia è la bradicinesia. Con questa parola si intende la difficoltà nell’iniziare volontariamente un movimento e il rallentamento dello stesso. Si assiste ad una riduzione dell’ampiezza del movimento, che quindi si esaurisce rapidamente nelle azioni ripetitive e alternanti o con repentini cambi di direzione. Inoltre il paziente presenta una riduzione di alcuni movimenti “automatici” come l’oscillazione delle braccia mentre cammina, le espressioni facciali, la gesticolazione e l’ammiccamento (chiusura ritmica degli occhi).
Rigidità
Il tono muscolare è regolato in modo automatico dall’azione di muscoli che anche “a riposo” sono chiamati a funzionare e ci assistono, ad esempio, nella postura. L’attivazione simultanea ed errata di muscoli che dovrebbero funzionare separatamente ha come conseguenza la rigidità, che nella Malattia di Parkinson rende il movimento passivo degli arti più difficile, come dover piegare un “tubo di piombo”. In alcuni casi, per il rilascio intermittente del tono muscolare durante il movimento passivo esso procede per piccoli scatti, come una ruota dentata. Questi sintomi motori (rigidità, bradicinesia, tremore) sono prevalentemente asimmetrici (coinvolgono un solo lato) all’inizio della malattia.
Instabilità posturale
L’equilibrio è uno dei sistemi che è precocemente interessato dalla malattia ed il rischio di cadute è incrementato nei pazienti. A tal proposito, strategie per evitare le cadute o minimizzare gli eventuali danni conseguenti devono essere messe in campo fin dall’inizio, ottimizzando gli spazi di vita e lavoro e utilizzando i giusti presidi (ad esempio evitando dislivelli, terreni disconnessi, scale, calzature inadeguate). Il cammino è spesso rallentato, con difficoltà nel dietro-front o nel superare un ostacolo e tendenza a trascinare piuttosto che sollevare i piedi. La postura è inoltre eccessivamente sbilanciata in avanti e la capacità di interrompere il movimento è meno veloce. Tutte queste caratteristiche vanno prese in considerazione per ridurre il rischio di caduta.
Disfunzioni autonomiche
Durante il corso della malattia si assiste ad una riduzione della capacità del sistema nervoso di regolare in modo automatico la pressione arteriosa, i movimenti intestinali e lo svuotamento della vescica. Il paziente può lamentare costipazione, urgenza urinaria e, soprattutto dopo i pasti, sensazione di “mancamento” nei passaggi posturali (sdraiato – seduto – in piedi), dovuto a riduzione significativa della pressione arteriosa. Per ridurre questo rischio, i passaggi posturali non devono essere effettuati velocemente e non bisogna passare direttamente da clinostatismo (sdraiato) all’ortostatismo (in piedi).
Disfunzioni non motorie, disturbi dell’umore, del sonno e problemi cognitivi
Il paziente può nel tempo (anche prima dell’inizio dei sintomi motori) avere una riduzione molto pronunciata dell’olfatto. Oltre al malessere che può essere percepito dal paziente per questa limitazione, egli può non essere in grado, ad esempio, di riconoscere facilmente alimenti andati a male. La Malattia di Parkinson è associata in particolare alla depressione che può accompagnare il paziente negli anni anche precedenti alla diagnosi. Il supporto psicologico e la terapia della depressione è parte integrante del trattamento della malattia nel suo insieme e non deve essere trattata come a sé stante o come una “debolezza” del paziente. I disturbi come insonnia, urinare spesso di notte, la rigidità notturna, ed alcuni movimenti involontari in fasi specifiche, impediscono spesso un sonno ristoratore. I deficit cognitivi non sono inizialmente riscontrati o sono molto sfumati nelle forme di malattia più comuni. La naturale evoluzione della malattia deve comunque tenere conto anche della progressione a forme di demenza nelle fasi avanzate o, precocemente, in particolari varianti.
La terapia
Tutte le terapie ad oggi approvate sono utili a trattare i sintomi della malattia in modo parziale e per un limitato periodo di tempo. I sintomi motori possono essere controllati con opportuno monitoraggio individualizzato della risposta ai farmaci simili alla dopamina. Le fluttuazioni di efficacia possono essere ridotte con aggiustamenti del dosaggio o con la combinazione di farmaci che tendono a stabilizzare i livelli di dopamina. In centri di riferimento per il trattamento della malattia vengono effettuate tecniche di tipo chirurgico, come la stimolazione cerebrale profonda o la gastrostomia per l’infusione continua del farmaco, riservate a pazienti selezionati e nei quali le terapie orali domiciliari non siano sufficienti alla gestione dei sintomi. La riabilitazione dei pazienti è essa stessa parte della terapia. In particolare la fisiochinesiterapia è essenziale per la riduzione delle complicanze posturali, a ridurre il rischio di cadute e a mantenere il tono osteo-muscolare. Le attività ludiche e sociali, la riabilitazione cognitiva e la psicoterapia favoriscono invece il mantenimento dell’autonomia psichica del paziente che, troppo spesso considerata aspetto secondario della Malattia di Parkinson, non va sottovalutata. Un paziente attivo, che possa accedere ad attività di interesse senza impedimenti, rappresenta una vittoria del sistema sociale.
Le prospettive della ricerca
La ricerca ha permesso, mediante la creazione di modelli di studio della Malattia di Parkinson, di svelare molte delle tappe fondamentali che portano alla neurodegenerazione. Altri aspetti di questa malattia sono tuttora da investigare e per questo l’impegno di tutti è necessario. I ricercatori lavorano anche quando i risultati sono deludenti e per questo vanno supportati. Se la malattia non dà tregua ai pazienti, dobbiamo essere sicuri che la ricerca non dia tregua alla malattia. Segnale di speranza tangibile è l’avanzamento di studi clinici con bersaglio molecolare specifico. In particolare la proteina α-sinucleina, che si accumula nelle cellule delle persone malate, è bersaglio di alcuni anticorpi monoclonali e vaccini in fase di studio. Se fossero efficaci (alcuni si sono già dimostrati sicuri nelle prime fasi) cambierebbero il corso della malattia. Questi ed altri potenziali studi hanno come scopo la formulazione di una vera e propria cura, capace di rallentare o addirittura fermare la Malattia di Parkinson.
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